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Type de textesource
TitreTrattato della poesia lirica
AuteursTorelli, Pomponio
Date de rédaction
Date de publication originale1594
Titre traduit
Auteurs de la traduction
Date de traduction
Date d'édition moderne ou de réédition1974
Editeur moderneWeinberg, Bernard
Date de reprint

, p. 284-286

Ma contrasta a quanto dicemo maggiormente Aristotele nella particella undecima, dove dice che Polignoto fingea gli uomini megliori, Pausone gli pingea peggiori, Dionisio quali esser soleano. Ma boni e mali sono gli uomini per i costumi, onde appar chiaramente che i costumi alla pittura appartenghino. Et ancora che alcuni traduttori scapino da questa autorità con tradur per megliori e peggiori, « più belli e più bruti », non si può però scapar quella della 40a particella dello stesso libro, dove dice che Zeusi era differente da Polignoto, buon espressor dei costumi nelle sue pitture, dove che la pittura di Zeusi nissuna apparenza di costumi dimostrava. [[4: suite  Zeuxis et Polygnote]]

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, p. 284-286

Ma contrasta a quanto dicemo maggiormente Aristotele nella particella undecima, dove dice che Polignoto fingea gli uomini megliori, Pausone gli pingea peggiori, Dionisio quali esser soleano. Ma boni e mali sono gli uomini per i costumi, onde appar chiaramente che i costumi alla pittura appartenghino. Et ancora che alcuni traduttori scapino da questa autorità con tradur per megliori e peggiori, « più belli e più bruti », non si può però scapar quella della 40a particella dello stesso libro, dove dice che Zeusi era differente da Polignoto, buon espressor dei costumi nelle sue pitture, dove che la pittura di Zeusi nissuna apparenza di costumi dimostrava.

Questa non legger difficoltà vide il Maggio, celebratissimo filosofo, sopra quella particella, et adduce un loco simile dell’ottavo della Politica, dove Aristotele vole che i fanciulli si dilettano nelle figure non di Pausone ma di Polignoto e quelle contemplino, o quelle d’alcun altro pittore o scoltore che dipinga i costumi. Adduce poi due problemi contrari, l’uno ch’è il 27° allegato da noi, l’altro il 29° dalla sezione istessa che è dell’istessa sentenza. Solve questo gran filosofo distinguendo nella pittura i colori dalle linee. Il colore è proprio oggetto dell’occhio, la linea è quella che secondo lui contiene il costume, esprimendo (come egli dice) i pittori con le linee il moto del corpo, nel qual moto si contengono i costumi. E però secondo il Maggio diremo che nei colori, che sono propri sensibili della vista, non esprimono i pittori i costumi, ma gli esprimono col disegno; e quindi è che alcune pitture possino essere costumate. Questa soluzione, sì come è di persona dotissima e da saldo giudicio procede,  così viene onorata e laudata da me. Pure, per quella libertà, che non solo a’ dotti è data, di riprobar le altrui opinioni, ma anco a quelli che d’esser dotti più tosto desiderano che sperino d’avervi a giongere, e per l’usanza academica di dubitare, ardirò io ancora di porre alcun mio dubbio sopra ciò.

E prima non mi pare che la soluzione salvi il dubbio. Perciò che, se la linea non è proprio sensibile della vista, perché il colore propriamente e principalmente l’immuta, né anco quello strepito che immuta l’udito principalmente possiede il costume, saran questi oggetti eguali in contenerlo ; ch’è contrario al problema. Oltre di ciò, qual è quel pittore che non linei ? E pur nella linea necessariamente s’includeria il costume. Di più, che laude avria Zeusi tra gli altri pittori acquistato, se senza disegno fosse stata la sua pittura, e se con queste linee non fosse stato sofficiente a esprimere tutti quei movimenti che avria un altro espresso ? Sappiamo ch’egli fu singolarissimo riputato. Sappiamo anco che senza buon disegno non può il pittore esser pur mediocre, poiché il pittore (come dice Aristotele nel secondo della Generazione) prima linea e descrive l’animale, poì lo fa perfetto con i colori. In quella prima azione consiste l’imitazione, ma dell’arte, per il diletto che dal colorito prendiamo. Onde vediamo che i disegni gl’intelligenti solamente dilettano. Vogliamo dunque credere che Zeusi senza disegno tant’onor nell’arte sua s’acquistasse ? Et essendovi il disegno, anco i costumi stati vi sariano.

A questo potressimo rispondere che il disegno si può fare senza i costumi, ma i costumi necessariamente nella pittura il disegno ricercano, perché un leone con ottimo disegno pingerà il pittore, ma con un altro disegno maggior fierezza v’aggiongerà. E che Aristotele non negò che l’imitazion dei costumi non si potesse ridure alla vista, ma negò che alla vista sola si riducesse, perché i colori ciò far non possono, ma si fa con l’oggetto del senzo commune, cioè la proporzione e’l concorso di quelle linee. Questa proporzione par che sia più propria dell’udito, perché subito fatta la proporzion musicale, par che costume ci apporti. Ma non ogni figura, benché ottimamente fatta, denota costume. La ragione è che nella musica si fa più facilmente il moto continuato, essendo la pittura cosa stabile e mostrandosi i costumi per il moto. Non nella linea, dunque, ma nella proporzione differente starà la soluzione, che salvare intendiamo a nostro potere per eserci porta da persona benemerita delle buone lettere.

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Ma che l’immitation sia delettevole ci mostra Aristotele nella 19a  particella della Poetica, dove mostra che molte cose immitate ci dilettano che vive e vere s’abborriscono.

Ma quivi il Castelvetro pur vol far del censore, dicendo che la proposition d’Aristotele intesa per il tutto è falsa, intesa per la parte non conclude, conciosia che se la Pittura immitasse il puzzo e ‘l tosco de i serpenti saria non meno abhorrita da noi che ‘l serpe stesso; ma perché non immita che i colori, la grandeza e sembianza, perciò non l’abhorriamo; non per l’immitatione ma perché s’immita quel solo che ci piace, lasciandosi ciò ch’è abhorrito da noi. Ma con sua pace, come si pò in Pittura rassomigliare il puzzo del serpe? E quanti serpi sono e senza puzzo e senza veleno? E pur da chi vivi gli abhorrisce sono con diletto guardati ottimamente in Pittura rassomigliati. E chi ha paura del veleno d’un serpe morto? O chi sente il puzzo se da lontano lo guarda? e chi non l’abhorrisce? et in Pittura bene immitati chi non gli contempla? chi con diletto non gli ammira? Di più il morso, il veleno, ch’è quella parte che secondo lui è abhorrita da noi, non diletta immitata o da Scoltori o da Pittori? Questo nel Laocoonte di Roma, statova bellissima, e nel Laocoonte di Vergilio apertamente si conosce. Ch’è più abhorrito da noi che l’affetto d’un che more nel dolore, e la vista d’un morto? e pur chi non ammira con estremo piacere la tavola del Correggio in San Giovanni, dove che affetti di passione di morte non si vede? Ma che molte statove de nemici posti in felicità. O imagini d’amici morti, ancora che ben rassomigliate ci attristino, secondo ch’egli oppone al Filosofo, questo è per accidente all’immitatione. Né vale per ciò che l’argomento suo contr’Aristotele, percioché ancorché per altro ci attristino, ben rassomigliate però, in quanto rassomigliate, dilettano.

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